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In più di un secolo niente è cambiato: Il pensiero del grande scrittore e filosofo Giovanni Papini a proposito delle elezioni


In più di un secolo niente è cambiato: Il pensiero del grande scrittore e filosofo Giovanni Papini a proposito delle elezioni


Le elezioni politiche hanno sempre goduto di una pessima reputazione. Già un secolo fa il filosofo Giovanni Papini metteva apertamente in dubbio la loro credibilità esprimendosi al riguardo come segue:
"In Italia, annunziano i giornali, ci sono l'elezioni. Dicono: Come mai voialtri giovani d'ingegno, di coraggio ecc. ecc. non vi occupate di politica? Ce n'e stato uno che ha proposto perfino di "portarmi" candidato (Fra parentesi: io non mi farei "portare" da nessuno. Tutt'al più vorrei portare gli altri dove m'intendo io). No. Noi non ci occupiamo di politica. E l'elezioni ci fanno schifo. Premessa irrovesciabile: Oggi, 1913, un uomo intelligente non può appartenere a nessun partito. Neppure se ha la faccia di legno e lo stomaco d'acciaio. A meno che non finga di appartenere a un partito qualunque per fini suoi privati particolari e personali. Se ci sta e non ha questi fini e non e proprio un nulla pensante vuol dire che qualcosa gli manca. Può essere una cima in matematica o in chirurgia e sotto al livello del mare in politica. Un uomo d'ingegno non può in Italia e fuori, ora e mai, star pigiato in un gruppo di gente che vale meno di lui e dove trionfano, per ragioni troppo sapute, le idee e le persone medie. Non può lui che sa vedere tutte le cose e tutte le facce di tutte le cose, accertare la necessaria unilateralità e ingiustizia di ogni partito. L'analisi gli fa vedere in tutti brevi raggi di ragione accanto all'ombre degli interessi parziali, delle superstizioni castigiane e delle bestialità consortesche. Ma in Italia, in questi tempi, ci sono più repugnanze ancora. Non c'e un partito vivo, in crescenza, in efficienza, in istato di grazia, temerario e compatto fino alla morte. Cosicché tutta la vita politica diventa una specie di complicata fiera tra pubblica e privata che finisce col danneggiare soprattutto quelli che non vogliono entrarci dentro. Il deputato compra i voti dei suoi elettori o a contanti o con piccoli favori personali o con grossi favori locali a paesi, a società, a classi; il ministro compra i voti dei deputati concedendo a questi i mezzi necessari per comprare gli elettori (croci, impieghi, lavori pubblici, ecc. ecc.) o con favori diretti; gli affaristi comprano i voti dei deputati cointeressandoli nei loro affari o dando loro qualche canonicato segreto; comprano i pareri dei ministri minacciandoli di rappresaglie o promettendo benefizi; comprano i cervelli della gente minuta dando loro per un soldo otto pagine di politica, di telegrammi, di opinioni, di letteratura, d'incisioni e di varietà. Gli altri poteri già nominati (e che spesso stringono accordi col potere massimo di cui tutti hanno bisogno) si servono degli stessi mezzi cosicché la famosa democrazia si riduce unicamente ai discorsi che si fanno nei comizi, nei consigli comunali, nei giornali, a Montecitorio i quali cambiano ben poco la reale essenza delle cose cioè il fatto di una nazione di lavoratori e di consumatori spadroneggiata da poche centinaia di ricchi astuti e attivi e da qualche migliaio di chiacchieroni loro dipendenti. In questa condizione di cose chiunque voglia far la politica concreta bisogna che si mescoli in una delle organizzazioni che contano qualcosa e che possono effettivamente fare qualcosa. Ma ci vuole lo stomaco forte e chi non ha interessi propri non può starci - a meno che non si faccia stipendiare per difendere gli interessi altrui. E non basta mescolarsi: occorre farsi avanti, urlare più forte degli altri, destreggiarsi più astutamente degli altri, aver meno scrupoli degli altri. Si arriva allora, dopo qualche anno di ripugnante noviziato, a valere realmente qualcosa, cioè a disporre di una particola più o meno grossa dell'effettivo potere. E il più delle volte non e necessario, per questo, esser deputati o senatori".

Santino Soda



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